Quando il Covid-19 è comparso per la prima volta in Cina nella città di Wuhan è stato registrato come una serie di casi di polmonite anomala, dalla causa sconosciuta e non imputabile ad agenti patogeni. Da allora le cose sono molto cambiate e la causa di quelle polmoniti oggi è nota a tutti. Secondo quanto affermato dall’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), in media, 1 persona su 6 rischia di sviluppare forme acute dell’infezione e difficoltà respiratorie anche gravi, mentre l’80% guarisce senza necessità di cure specifiche.
Ma quali sono i fattori di rischio che possono portare a sviluppare una forma grave dell’infezione? Secondo studi clinici recenti – e svolti considerando i soli paesi europei in cui sono stati registrati i casi più gravi della malattia – tra la carenza di vitamina D e COVID-19 può esistere una relazione, cioè un basso livello di questa vitamina nell’organismo può rappresentare uno dei fattori di rischio per l’infezione e l’intensità delle sue conseguenze.
È ormai ampiamente accertato che la vitamina D possiede importanti proprietà nel sostegno delle ottimali funzioni del sistema immunitario, cioè quell’apparato che rappresenta le difese del nostro organismo da agenti patogeni. Da sempre sottolineiamo l’importanza di garantire i giusti livelli di vitamina D nell’organismo, soprattutto durante l’inverno quando non c’è la possibilità di esporsi alla luce del sole. Questo per evitare che un indebolimento delle difese immunitarie possa renderci più vulnerabili all’azione di virus e batteri.
Una raccomandazione che oggi sembra ancora più attuale. Ecco i risultati degli studi clinici su cui vale la pena riflettere.
Italia e Spagna: i paesi con livelli medi di vitamina D più bassi e il più alto numero di contagi
Chi durante questi mesi ha seguito l’incessante susseguirsi di notizie sul numero dei contagi, sia sui giornali che in TV, avrà sicuramente appreso che non in tutti i Paesi del mondo il virus si è manifestato con la stessa intensità o ha causato lo stesso numero di casi.
In Europa i casi più gravi di COVID-19 sono stati registrati in Italia e in Spagna. Una coincidenza questa che non è passata inosservata agli occhi di alcuni ricercatori dell’Anglia Ruskin University di Cambridge e del Queen Elizabeth Hospital di Londra, che hanno reputato opportuno, anche per conoscere meglio il virus e il suo meccanismo d’azione, indagarne le cause.
Secondo lo studio1, pubblicato su Aging Clinical and Experimental Research, l’Italia e la Spagna sono i paesi i cui abitanti, in particolare quelli più anziani, hanno statisticamente livelli di vitamina D medi più bassi rispetto alla maggior parte dei paesi dell’Europa settentrionale. Questo perché sia in Italia che in Spagna non si consumano quantità sufficiente di alimenti ricchi di vitamina D, la tonalità del colore della pelle è mediamente più scura e non ci si espone in maniera adeguata alla luce solare, specie nei mesi invernali.
In Paesi come la Finlandia al contrario, dove la pandemia non ha colpito in maniera così forte, è più alto il consumo di alimenti ricchi di vitamina D, come l’olio di fegato di merluzzo, e l’utilizzo di integratori specifici2. L’impiego regolare di integratori di Vitamina D è invece molto ridotto in Paesi come Italia e Spagna.
A ciò va aggiunto che la capacità da parte dell’organismo di sintetizzare la vitamina D diminuisce con l’età e ciò spiegherebbe come mai le persone a partire dai 65-70 anni sono considerate tra quelle più a rischio di contrarre forme gravi dell’infezione.
Che la vitamina D potesse svolgere un ruolo protettivo nei confronti delle infezioni respiratorie era già emerso in diversi studi clinici3, quello che i ricercatori inglesi hanno messo in luce è che la vitamina D potrebbe contribuire a ridurre la porta d’accesso del virus e limitare le conseguenze del contagio. Questo perché la vitamina D agisce sulla funzionalità dell’enzima ACE2, utilizzato dai virus per entrare nelle cellule dell’organismo e coinvolto nei successivi fenomeni infiammatori dell’infezione.
Carenza di vitamina D e COVID-19: anche i dati raccolti oltreoceano confermano la relazione
Alla conclusione che tra carenza di vitamina D e COVID-19 esiste una relazione sono giunti anche i ricercatori della Northwestern University negli Stati Uniti, che in uno studio preliminare4 – in cui sono stati esaminati i dati provenienti dagli ospedali e dalle cliniche di diversi paesi del mondo tra cui Cina, Iran, Stati Uniti e Francia – hanno evidenziato che i pazienti con carenza di vitamina D hanno il doppio delle probabilità di sviluppare una forma grave di Covid-19.
Secondo quanto affermato in un comunicato5 dal capo della ricerca, il dottor Vadim Backman, anche se le differenze tra i contagi tra un paese sono influenzate dal numero di test fatti, dalle misure contenitive adottate e dall’intervento dei sistemi sanitari, nessuno di questi fattori può essere considerato realmente come determinante. Tenuto anche conto del fatto che il sistema sanitario italiano è uno dei più efficienti al mondo. Tuttavia, è possibile notare una relazione significativa tra carenza di vitamina D e casi gravi di COVID-19.
Perché la vitamina D ha un effetto protettivo contro il COVID
La maggior parte delle persone conosce la vitamina D solo per la sua capacità di favorire la calcificazione delle ossa e prevenire l’osteoporosi. In realtà la vitamina D fa molto di più.
La vitamina D è essenziale per il corretto funzionamento di tutto il nostro organismo e gioca un ruolo chiave nell’attivazione della risposta immunitaria dell’organismo agli agenti patogeni.
Per capire l’importanza della vitamina D per il sistema immunitario possiamo rifarci a un uno studio danese6 condotto dall’Università di Copenaghen e pubblicato sulla rivista Nature Immunology, in cui si legge che la vitamina D attiva la risposta immunitaria delle cellule T, appartenenti alla famiglia dei linfociti.
Clicca qui per scaricare l’eBook gratuito: Come funziona e come rinforzare il sistema immunitario
Quando un agente patogeno entra nel nostro organismo si attivano proprio queste cellule, che per rispondere in maniera efficace all’attacco necessitano di una sufficiente disponibilità di vitamina D.
Se i livelli di vitamina D nell’organismo sono bassi, le cellule T non riescono ad attivarsi adeguatamente e ciò rende l’organismo più vulnerabile all’azione dei patogeni.
I ricercatori americani hanno inoltre osservato che la vitamina D si è dimostrata efficace nel modulare la risposta dei macrofagi – cellule appartenenti alla famiglia dei fagociti che nel nostro organismo hanno il compito di fagocitare i microrganismi e distruggerli – impedendogli di rilasciare un eccesso di citochine infiammatorie.
Questa condizione reattiva, conosciuta anche con il nome di “tempesta di citochine”, è stata riscontrata in molti pazienti con forme gravi di COVID-19 e dipende da un’iperattività del sistema immunitario.
A proposito dell’incidenza della tempesta di citochine sulle condizioni dei pazienti affetti da COVID -19, il dottor Ali Daneshkhah, uno dei collaboratori di Vadim Backman, ha affermato che “la tempesta di citochine può danneggiare gravemente i polmoni e portare a una sindrome respiratoria acuta nei pazienti“.
Questa correlazione tra vitamina D e tempesta di citochine potrebbe inoltre spiegare, aggiungono i ricercatori, come mai i bambini, che non hanno ancora un sistema immunitario acquisito completamente sviluppato, sono meno soggetti a contrarre forme gravi dell’infezione.
In conclusione, secondo quanto pubblicato nello studio, la vitamina D, anche se non impedisce a un paziente di contrarre il virus, può ridurre la gravità dell’infezione, attenuando la tempesta di citochine indotta.
Dove trovare la vitamina D
La vitamina D è presente in natura solo in alcuni alimenti, fra cui: sardine, salmone, sgombro, tonno, aringhe, tuorlo d’uovo e nei funghi.
Una maggior concentrazione di vitamina D è presente nell’olio di fegato di merluzzo, anche se è necessario consumarne in grandi quantità per riuscire a integrare una quantità sufficiente di questa vitamina.
Seguire una dieta varia ed equilibrata è importante per il nostro benessere, tuttavia è difficile ottenere una quantità sufficiente a soddisfare il bisogno giornaliero di vitamina D solo dal cibo.
Un’altra importante fonte naturale di vitamina D sono i raggi solari. La vitamina D è infatti sintetizzata dalla pelle sotto l’azione del sole. Dai 15 ai 30 minuti di esposizione solare al giorno, assicurano all’organismo una quantità sufficiente di vitamina D.
Quando non è possibile beneficiare degli effetti positivi dell’esposizione solare, cosa che quest’anno per via della quarantena è successa a tutti, la scelta migliore per scongiurare il pericolo di una sua carenza è quella di integrarla dall’esterno, utilizzando integratori naturali di vitamina D, in particolare nella forma D3, quella maggiormente biodisponibile per l’organismo umano.
Scopri qui tutti i Programmi per le Difese Immunitarie Salugea
È possibile scoprire la carenza di vitamina D con un semplice prelievo del sangue.
Quando si integra la vitamina D è comunque consigliabile assumerla non da sola, ma sempre in associazione alla vitamina K. Questo perché la vitamina K ne ottimizza l’assorbimento ed evita i depositi di calcio nelle arterie7.
Chi è maggiormente a rischio di una carenza di vitamina D?
La carenza di vitamina D è, ahimè, una condizione comune in tutto il mondo e a esserne maggiormente colpite sono:
- le persone più in là con l’età (oltre i 50 anni),
- le donne in premenopausa e in menopausa,
- le persone di carnagione scura, che non riescono a sintetizzare in maniera efficace la vitamina D con i raggi solari,
- le persone che svolgono lavori o attività che le costringono a trascorrere al chiuso per gran parte della giornata
Per tutte queste persone il consiglio è quello di valutare la possibilità di assumere un’integrazione specifica ed adeguata di vitamina D3 e K2.
rosanna ciminelli
| #
Sito molto semplice nell’esposizione degli argomenti e soprattutto abbastanza chiaro,grazie mille
Rispondi a rosanna ciminelli
Dott.ssa Federica De Santi
| #
Grazie Rosanna!
Per qualsiasi necessità siamo a tua disposizione 🙂
Rispondi a Dott.ssa Federica De Santi
Franco Paesini
| #
Osservare che i pazienti con carenza di vitamina D fossero più a rischio di ammalarsi di COVID-19 e in forma più grave non è sufficiente ad oggi per affermare che un’integrazione di vitamina D, con o senza vitamina K previene l’infezione da SARS CoV 2. Ma soprattutto è ingiustificato l’abuso che durante la pandemia si e’ fatto e si continua a fare di integratori di vitamina D.
Rispondi a Franco Paesini
Dott.ssa Federica De Santi
| #
Buongiorno Franco,
Quello che sosteniamo e che è riportato anche nell’articolo è che la l’integrazione con Vitamina D AIUTA favorire la risposta immunitaria generale e di conseguenza quella al Covid, non diciamo che da sola è in grado di prevenirne l’insorgenza.
Inoltre gli studi che correlano carenza di D e maggiore incidenza da Covid sono pubblicati da autorevoli fonti scientifiche, noi ci limitiamo a riportarne il contenuto.
Infine non abbiamo MAI suggerito o invitato ad abusare di Vit. D, in quanto riportiamo sempre di rispettare il limite delle 2’000 UI/die che è il quello ammesso per gli integratori dal Ministero della Salute.
Grazie per il tuo commento, ci hai dato modo di approfondire un tema davvero importante.
Sempre a tua disposizione,
Team Salugea
Rispondi a Dott.ssa Federica De Santi